LA FRANCOFONIA
L'avvenire della lingua francese
20 marzo, Giornata della francofonia
Ragazzi, studiate il francese: è fuori moda ma (a sorpresa) rende
di più! ...
Legato all’italiano da sorellanza storica e culturale, è oggi
messo in ombra da inglese e cinese. Ma gli esperti avvertono: impararlo
potrebbe rivelarsi un investimento redditizio
Un elogio della lingua francese? È vero, sappiamo bene che
l’inglese è la lingua più parlata in Europa (38 per cento). Ma spesso
dimentichiamo che è il francese la seconda (12 per cento) e che
ben 51 paesi nel mondo parlano francese. Basterebbero questi dati
numerici a rendere evidente l’utilità di studiare la lingua di Montaigne e di
Stendhal. E si potrebbero poi aggiungere elementi economici, a beneficio dei
funzionalisti: la Francia è il secondo partner più importante per il
nostro Paese con un volume d’affari intorno ai 200 milioni di euro di scambi economici
quotidiani. Non basta? Allora sappiate che i 100 gruppi imprenditoriali
francesi presenti in Italia garantiscono 239 mila posti di lavoro nella
penisola: e non si capisce perché mai trattando tra loro, un parigino e un
milanese dovrebbero parlare in inglese. Ma forse quel che conta di più è la
sorellanza tra le due lingue: italiano e francese. Sorellanza storica e
comunanza culturale. La conoscenza della prima aiuta (e arricchisce) la
conoscenza della seconda e viceversa.
Per non dire che, come segnala Tullio De Mauro, il
75 per cento del vocabolario inglese è composto di parole prese in prestito o
dal francese o direttamente dal latino: dunque, a ben guardare, lo studio
del francese potrebbe favorire anche l’apprendimento dell’inglese. Certo, si tratta
di una scelta fuori moda: il francese era la prima lingua straniera per i
nostri padri, dei nonni e dei bisnonni. E oggi sono lontanissimi i tempi in cui
quella di Sartre era la lingua internazionale per eccellenza, europea, moderna:
una trasformazione politica, economica e culturale ha spostato il baricentro
verso anglo-americano.
All’epoca dell’esotismo linguistico (e
dell’instabilità economica), ci si orienta eventualmente verso il cinese (i
cinesi sono tanti, sono ovunque e sono in espansione): ma a furia di imparare
tutti l’inglese e il cinese, chi sarà in grado di trattare economicamente e
culturalmente con i francesi (che sono peraltro restii a inchinarsi
supinamente di fronte all’inglese come invece tendiamo a fare noi)? La vera
sorpresa viene dagli economisti delle lingue, quando affermano che è molto più
redditizio per un italiano investire sul francese (.....) che non sull’inglese
(sic!), poiché si tratta di conoscenze più rare e dunque più ricercate e
remunerate. Tra l’omologarsi e il differenziarsi, viene consigliata la seconda
via. Per una volta, l’economia e la cultura andrebbero d’accordo.
Paolo Di Stefano
19 marzo 2016 | 08:04
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